10 Marzo 2019

ESCLUSIVA PSB – Alessandro Soli: “Serie B poco seguita all’estero. Lo scouting può essere una risorsa”

Una carriera che l’ha portato, con merito, a collaborare con varie e importanti realtà europee. Alessandro Soli, noto osservatore e talent scout, è un bacino dal quale attingere per illustrare il rapporto tra la Serie B e l’Europa calcistica, ed è questo quanto fatto dalla nostra redazione, che l’ha raggiunto in esclusiva. Il tuo curriculum […]

Serie B

Una carriera che l’ha portato, con merito, a collaborare con varie e importanti realtà europee. Alessandro Soli, noto osservatore e talent scout, è un bacino dal quale attingere per illustrare il rapporto tra la Serie B e l’Europa calcistica, ed è questo quanto fatto dalla nostra redazione, che l’ha raggiunto in esclusiva.

Il tuo curriculum parla di importanti esperienze di respiro europeo in materia di scouting. La prima domanda non può che essere ovvia. Secondo te cosa non funziona nell’approccio al talento del domani nelle società del campionato cadetto, rispetto alle altre realtà di eguali possibilità economiche del continente?

“Il problema non credo sia la scarsità di fiducia e investimenti sui giovani in Serie B. Il campionato cadetto è poco seguito all’estero, ritengo sia questo il punto di cui discutere. Ho lavorato in Svezia e, in un campionato come la massima serie svedese, di livello inferiore rispetto alla B italiana, sono presenti scout delle migliori realtà europee ad ogni partita. Discorso diverso nel nostro Paese dove, nel corso delle mie collaborazioni con diverse società, ho avuto difficilmente modo di constatare la stessa cosa. È un discorso che verte, quindi, sull’appeal. Inoltre noto una certa resistenza alla possibilità di passare dalla Serie B all’estero, dato che l’obiettivo principale è quello di andare in Serie A. Posso però dire che proseguire la propria carriera fuori dai confini nazionali può avere una rapidità di crescita nettamente maggiore”.

A cosa credi sia dovuta la scarsa attrattività di cui hai parlato?

“Ad oggi molti calciatori italiani hanno difficoltà e poca voglia di andare all’estero. Nel corso delle mie esperienze ho proposto varie volte ai calciatori italiani di andare fuori e non erano assolutamente interessati, sia per problematiche di adattamento ambientale che di lingua. Questo è quindi il primo punto: all’estero sanno che il calciatore italiano è poco propenso a questo tipo di avventura. Aggiungo che anche i costi delle operazioni riguardanti gli italiani possono essere esosi, seppur questo non corrisponda sempre alla realtà dei fatti, motivo per il quale può esserci incertezza nell’affrontare certe trattative. Devo ammettere che quello degli stipendi può essere un fattore, perché un calciatore di Serie B può guadagnare di più rispetto ad un collega del campionato olandese oppure svedese. Ci sono varie tematiche da affrontare, ma posso assicurare che la cadetteria italiana non ha nulla da invidiare alle principali compagini di campionati europei minori. Ripropongo l’esempio della Svezia, dove ho lavorato per diversi anni come consulente di mercato, e posso dire che il livello della massima serie locale è, tralasciando qualche piccola eccezione, inferiore a quello della nostra Serie B”.

Spesso, per una società non di vertice di qualsivoglia campionato, dotarsi di una solda struttura scouting permette, in prospettiva, quello che viene definito autofinanziamento. Perché questo concetto non arriva ad occhi e orecchie di buona parte della cadetteria? Credi possa influire il molto, forse troppo, passionale approccio al calcio che si ha in Italia?

“Ritengo che ci sia una forte chiusura da parte dei dirigenti dei club di Serie B italiana nei riguardi dello scouting perché hanno paura di intraprendere una nuova strada abbandonando determinate certezze. Parliamo di un processo che necessita di una pianificazione pluriennale e di persone preparate, oltre alla necessità di contatti all’estero. Oggi viviamo nell’epoca dei sistemi multimediali e tecnologici che permettono il monitoraggio continuo dei calciatori, ma bisogna ugualmente andare in loco e avere informatori locali che possano permetterti di anticipare la concorrenza, soprattutto se sei una società di appeal inferiore. Ho parlato con varie realtà di Serie B che non ritengono opportuno di investire nello scouting. Ad onor del vero, quello che facciamo è un discorso dispendioso, ma bisogna capire che questo può portare a delle plusvalenze, come dicevi tu in apertura. Parliamo quindi di papabile linfa vitale per le società cadette. I dirigenti italiani si fidano in particolar modo degli agenti che conoscono, difficilmente vanno su un calciatore perché l’hanno monitorato di persona oppure grazie alla propria rete scouting. È una situazione strettamente legata al nostro Paese”.

Ai tempi dell’Hoffenheim, dove ricoprivi il ruolo di consulente, hai scovato Roberto Firmino, di cui non sono necessarie ulteriori presentazioni. Ti chiedo: quali sono i parametri che un club non di prima fascia deve essere bravo a valutare per poter anticipare la concorrenza su determinati tipi di colpi?

“Ti racconto la storia della trattativa per Firmino per risponderti: ero un informatore esterno dell’Hoffenheim, club che ha creduto sin da subito nella propria area scouting. Lavoravo con Lutz Pfannenstiel, all’epoca capo-osservatore e attualmente direttore sportivo del Fortuna Dusseldorf, con cui sono in ottimi contatti, che aveva allestito un’area di informatori esteri, provenienti praticamente da tutto il mondo. Grazie ad uno di questi, ovviamente quello brasiliano, abbiamo ricevuto dei DVD della Figueirense, dove militava Firmino. Abbiamo visto il calciatore, all’epoca sconosciuto ma con evidenti qualità sopra la media. Dico questo per palesare l’utilità di un vero e proprio network di informatori. L’investimento è stato importante, perché parliamo di quattro milioni sborsati per un calciatore che militava nella seconda divisione del suo Paese, e questo fa capire quanta fiducia ci fosse verso il ragazzo. Un colpo importante, data la carriera che ha avuto”.

Da esperto di calcio svedese hai avuto modo di lavorare e conoscere da vicino determinate realtà. C’è qualche nome che credi possa essere pronto sin da subito per fare bene in Serie B?

“A breve ripartirà il campionato, che nell’ultima annata non ha presentato molti elementi di qualità come in passato. L’ultimo profilo noto è Alexander Milošević che, dopo alcune esperienze fuori dalla Svezia, è tornato all’AIK Solna prima di approdare al Nottingham Forest, dove ha avuto un impatto incredibile, dato che è risultato essere il miglior giocatore delle ultime tre partite. Un giocatore che potrebbe essere interessante è Karl Holmberg del Norrköping, una prima punta di movimento con grandi qualità fisiche nonostante una statura non eccelsa. Altro profilo a mio avviso da valutare è il portiere Marko Johansson, di proprietà del Malmö ma attualmente al GAIS, in Superettan, dov’è approdato per giocare con maggiore continuità. È un profilo monitorato in passato dalle grandi di Serie A. Ha dimostrato grande affidabilità nonostante la giovane età, deve migliorare a livello tecnico, ma può ripercorrere le orme di Olsen. Ritengo che nel campionato ai nastri di partenza vi sarà un importante cambio generazionale, quindi bisogna tenersi pronti e vigili nel visionare i prospetti più interessanti”.

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