19 Febbraio 2024

Bari, il viaggio di Kallon: “Ho visto ragazzi morire. Non sapevo la strada ma non potevo tornare indietro, sono stato fortunato”

Il viaggio di Kallon per arrivare in Europa

Era il 17 febbraio del 2016, circa otto anni fa, ed un giovanissimo Yayah Kallon arrivava in Italia dalla Sierra Leone dopo un viaggio interminabile. Quella di Kallon è una di quelle storie che fanno capire quanto il calcio possa essere influente, quanto nella vita molto spesso ci siano cose ben più importanti di un pallone, che però è uno strumento sempre in grado di scandire una rinascita, come nel caso di Kallon. L’esterno del Bari si è raccontato in una videointervista al sito ufficiale dei Galletti, attraverso la sua storia, complicata ma vincente.

Ecco le sue parole riportate da pianetabari.com.

Non vedo la mia famiglia da 9 anni. In Sierra Leone c’è una situazione particolare, ora va un po’ meglio. C’è gente che rapisce i bambini e li fa diventare soldati, quindi non è facile. Giocavo per strada con gli amici, è quello che ho sempre sognato. Per questo, insieme ai i miei genitori, abbiamo deciso di partire per l’Italia. Avevo 14 anni, mi hanno detto che era meglio che andavo in Europa e quando diventavo maggiorenne di ritornare. Ero molto legato a loro, ricordo che piangevano tutti quando me ne andai. Quando ero per strada ho cercato di legarmi alle persone che riconoscevo fossero brave e mi aiutavano. In Mali, Guinea ho trovato persone con cui ho lavorato per avvicinarmi all’Europa. Ho fatto il muratore, lavato case, il meccanico, fatto altre cose per guadagnarmi i soldi per arrivare in Libia e pagarmi il gommone. A volte venivamo pagati per questi lavori, altre no. Non sapevo la strada, ma non potevo tornare indietro. I miei genitori mi spingevano con la forza, li sentivo e andavo avanti. Poi sono arrivato in Burkina Faso, poi in Libia, dove è stato molto difficile. C’erano i bambini soldati che sparavano alla gente e non potevi andare neanche alla polizia. Ho visto tanti ragazzi morire lì, mentre i genitori sanno che sono in Europa. Nel deserto c’erano le loro ossa, i corpi di bambini, uomini e donne morti. Ho attraversato il deserto in 2 giorni. Eravamo in 24, su un pick up e ricordo che di notte facevo molto freddo e di giorno molto caldo. Non era possibile tornare indietro, come non era possibile tenermi in contatto con loro. Il mio pensiero era tornare in Sierra Leone a 18 anni. Prima di ogni partita parlo con i miei genitori, mi danno forza. Sono stato molto fortunato per aver affrontato tutte queste cose. Soprattuto nell’esperienza del gommone. Tanti sono morti in mare, noi ci siamo salvati. A Lampedusa ho richiamato i miei genitori, sentivo solo mia madre che piangeva. Poi lì abbiamo subito giocato a calcio con gli altri ragazzi. Spero che i miei genitori possano venire qui, io purtroppo non posso tornare“.