15 Dicembre 2023

ESCLUSIVA PSB – Marcello Campolonghi: “Brescia merita altri palcoscenici, il Como una bella sorpresa”

Marcello Campolonghi in esclusiva a PSB

Marcello Campolonghi, mestiere attaccante e curriculum importante. Un lungo viaggio sempre con il pallone sotto il braccio, un viaggio che lo ha portato a muoversi tra Serie B e Serie C attraverso alcune piazze importanti, senza fermarsi mai, nemmeno oggi, perché Marcello Campolonghi è sempre ancorato al mondo del pallone, in qualità di istruttore per le Academy del Milan. Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche parola con Marcello Campolonghi, ripercorrendo tutto il suo percorso e non solo.

Prima di tutto, chi è oggi Marcello Campolonghi?

“Ho giocato a calcio per 20 anni e subito dopo ho fatto i vari corsi da allenatore. Ho fatto Uefa A e poi ho cominciato con il settore giovanile al Pro Piacenza, dopo sono stato due anni a Udine nel settore giovanile, poi tre anni a Monza, dove l’anno scorso ero direttore tecnico del progetto Academy Italia. Quest’anno lavoro per il Milan, in veste di istruttore”.

Prima di riavvolgere il nastro dei ricordi, ci dai due titoli su questa Serie B?

“Non avevo dubbi che il Venezia potesse disputare un campionato del genere, conosco benissimo il direttore, so cosa ha fatto a Monza e non è una sorpresa per me. Chi mi ha sorpreso tanto è il Como, mentre mi aspettavo di più dal Palermo. Un’altra grande rivelazione è il Catanzaro, ma memore da altri campionati mi ricordo un Como che aveva fatto il doppio salto di categoria, e secondo me non è escluso che il Catanzaro lo possa fare”.

Restando in tema Como, piazza che hai vissuto. Ci racconti la tua esperienza e cosa ne pensi di quel cambio in panchina che ha fatto discutere mezza Italia?

“Bisogna comprendere le dinamiche societarie, per noi la scelta di sostituire Longo con Fabregas è logico che sia sorprendente. Anche perché di solito quando le cose vanno bene è dura cambiare, però le dinamiche vanno capite, può essere successo di tutto, magari uno screzio, una visione non condivisa, o semplicemente una scelta particolare. Parlando dei miei ricordi, io a Como ho avuto la sfortuna di vivere un momento complicatissimo, un’annata disastrosa, con il fallimento di Preziosi. Ho fatto 6 mesi senza prendere lo stipendio, avevamo tanti giovani in squadra e poi sono stato svincolato. Dico questo perché resta un mio rammarico, Como è una grande piazza, importante, e mi sarebbe piaciuto viverla diversamente perché secondo me merita. Ma quando sono passato da lì c’erano tante cose che non funzionavano”.

Il tuo viaggio nel pallone ti ha portato anche a Cremona, credi che Stroppa abbia dato la sterzata giusta ai grigiorossi?

“Sono stato a Cremona in realtà in un momento simile, stavamo andando in Serie B, ma a livello organizzativo e di struttura la società non era messa bene. Però avevamo un gruppo fortissimo, unito, con grandi giocatori che hanno vinto il campionato. Si tratta di un’altra grande piazza, soprattutto ambita, e sono fiero di averne fatto parte. Tornando ad oggi credo che Stroppa sia un mago di queste situazioni, gli auguro tutto il bene del mondo. Come persona l’ho potuto vivere e vedere a Monza, lo conosco e lui invece la Serie B la conosce come le sue tasche. Fino alla fine porterà la Cremonese a restare aggrappata al gruppo delle prime”.

Il film della tua carriera passa anche per la Reggiana, che aria si respirava da quelle parti?

“Alla Reggiana sono arrivato quando c’era Ernesto Foglia e soprattutto c’erano ambizioni di Serie A da raggiungere in due anni. C’erano giocatori importanti, i vari Goretti, Bonomi, Mondini, Sadotti per esempio. Ci siamo salvati ai play-out con il Varese, diciamo che non è andata come doveva. Ma la piazza è incredibile, ha una fame incredibile. L’anno dopo è arrivato Bruno Giordano, è stato allestito un altro squadrone ma io poi sono andato a Como“.

E ovviamente un pezzo del tuo cuore lo ha il Brescia, prima grande squadra ad aver posato gli occhi su di te con convinzione di farti crescere. Scelta semplice quella di scegliere Brescia quando eri così giovane?

“In quel momento ero in rampa di lancio, avevo diverse proposte, ma il primo club che mi ha proposto cinque anni di contratto era il Brescia. Poi non c’è nemmeno bisogno di sottolinearlo, quello era il Brescia dei vari Pirlo, Baronio e tanti altri. Scelta azzeccatissima, non posso dire altro, da lì poi sono stato comprato dal Milan e ho cominciato a muovere i passi della mia carriera. Io sono tifoso del Brescia perché sono rimasto in contatto con tante persone. Sentendo anche gli umori so che ci si aspettava comunque di più, sono venuti a mancare certi pilastri che aveva promesso il presidente. Ma una società storica come il Brescia ha bisogno di un altro palcoscenico, servono persone serie, e soprattutto con passione”.

Il ragazzo Campolonghi ha qualcosa da rimproverarsi? O qualcosa che magari sarebbe dovuto andare diversamente?

“Io ho avuto la fortuna di fare otto anni di Serie B e dico la verità, i primi anni avevo l’incoscienza del ragazzo, mi sono buttato senza farmi schiacciare da quei giocatori o da quella categoria che era davvero un A2. Quel periodo mi ha forgiato e mi ha fatto capire subito ambiente e categoria. Io ho fatto quello che ho fatto con le mie mani, non ho rimpianti. Potevo fare di più? Può essere, me lo hanno detto, ma io sono felice di quanto raggiunto. Non ho mai avuto un allenatore o un ds che mi portasse dietro. Magari mi ha limitato questa mia visione del mondo, però proprio non sono capace di essere ruffiano”.

Parlavi di una Serie A2 quando giocavi tu, si può dire lo stesso oggi?

“Il livello è alto, però no, non è una A2 come quando giocavo io. Non vedo Hubner, Totò De Vitis, Pirlo e questi nomi qui. Io ho giocato con il principe Giannini, con Stellone, Scienza, giocatori che purtroppo, oggi, fai fatica a vedere in B. Credo sia perché è cambiata la società, servono istruttori preparati per la motoria, quando io ad allenarmi avevo il postino. Estremizzo però è cambiato davvero tanto, la società quanto il calcio e il modo di intenderlo. Adesso senti dire portami un tronco che lo lavoro, prima si andava a vedere il cavillo, la tecnica, l’intelligenza. E poi c’è un ultimo discorso che vi cito, restando anche a livello giovanile. Perché demonizzare un ragazzino se non è alto 1.80? Se uno è forte è forte, c’è poco da aggiungere. Ho giocato contro Gillet, prima di fargli gol dovevi stremarlo, contro Bucci, che non era altissimo. Se sei forte giochi e devi giocare, non conta altro”.