9 Aprile 2024

ESCLUSIVA PSB – Donina (NonSoloPremier): “Maresca al Parma nel momento sbagliato. Quante squadre di B vincerebbero contro quelle di Championship?”

L'approfondimento sulla seconda divisione inglese

Ben Roberts Photo/Getty Images - Via One Football

La nostra Serie B, tanto affascinante quanto competitiva, naviga inevitabilmente in un mare di accostamenti con le sorelle in giro per il Vecchio Continente. Storie che alle volte si intrecciano, oppure paragoni esclusivamente tecnici e/o economici, strumenti per costruire opinioni, valutazioni, idee sui movimenti di rispettiva rappresentanza. Ragionando in termini di seconde divisioni, è inevitabilme sottolineare il fascino e la potenza finanziaria della Championship, la B d’Inghilterra, che in questa stagione sta vedendo battagliare per Enzo Maresca, ex allenatore del Parma ora al Leicester. Per questo, e altri temi, abbiamo raggiunto in esclusiva Luca Donina di NonSoloPremier, progetto editoriale che si occupa di approfondire proprio il calcio inglese lato sensu.

Il fascino secolare della Championship è costantemente alimentato da una competitività fiammante in virtù della lunghezza della regular season e di un livello tecnico notevolissimo, con tante squadre che hanno nei propri organici calciatori con una comprovata storia in Premier League. Per circa trenta giornate, a guidare – con la forma del dominio – il torneo c’è stato il Leicester di Enzo Maresca, che in questo 2024 ha mostrato evidenti scricchiolii ed è stato anche raggiunto e superato dal Leeds United di Daniel Farke e dall’Ipswich Town di Kieran McKenna, sebbene attualmente sia di nuovo al primo posto (e con una partita in meno). Le tre sconfitte consecutive contro Middlesbrough, QPR e proprio Leeds – seguite poco dopo da quella contro il Bristol – sono state probabilmente decisive per questa rimonta, ma cos’è successo alle Foxes?

“Partiamo col dire che, dopo la retrocessione dello scorso maggio, il Leicester ha lavorato da subito per imbastire una rosa competitiva e di livello, che sulla carta è sembrata già dall’inizio probabilmente la più forte della Championship (nonostante le partenze di giocatori del calibro di Maddison, Tielemans, Barnes e Castagne, compensati dagli arrivi tra gli altri di Winks, Coady, Cannon, Mavididi, e il prestito di Cesare Casadei).

In campionato sono partiti col botto, facendo segnare un record mai visto prima e dando l’idea di poter replicare e migliorare i 101 punti del Burnley dell’anno scorso. Le 13 vittorie e 1 sconfitta delle prime 14 gare sono diventate 21 vittorie, 2 pareggi e 3 sconfitte (per altre tutte 1-0) nelle prime 26, chiudendo il 2023 in testa alla classifica.

Il fatto non è poi forse tanto il calo – anche fisiologico, no? – nel rendimento del campo (23 punti nelle successive 14 partite), quanto piuttosto l’alta competitività che c’è in Championship, con Leeds (partito sottotono) e Ipswich (con una fase centrale sottotono) che hanno saputo trovare la giusta continuità e solidità per risalire in classifica. Più di tutto, quindi, a incidere è forse il fattore psicologico: sapere di non potersi concedere mai una distrazione o un passo falso è una costante forma di pressione, che nelle fasi calde della stagione si può rivelare fatale.

In aggiunta a questo, non vanno dimenticate le vicissitudini societarie legate al lato finanziario e alle presunte violazioni delle regole del P.S.R.: anche se non hanno un risvolto diretto sul terreno di gioco, per un giocatore sapere che da un giorno all’altro ti potrebbero togliere dei punti in classifica per motivi “extra calcistici” crea sicuramente delle montagne russe a livello mentale”.

Tra i vari ponti edificabili tra la seconda divisione inglese e la “nostra” Serie B c’è proprio Enzo Maresca, allenatore del Parma per tredici turni del campionato 21/22 prima di essere esonerato. Che impressione di sé sta dando il tecnico in una terra, l’Inghilterra, dove da allenatore aveva già nettamente convinto con l’Under 23 del City?

“Nonostante i tanti cambi all’interno della rosa, Maresca ha saputo lavorare da subito con personalità e una chiara idea di gioco. Lo si può sicuramente definire un allenatore “moderno”: il suo gioco si basa sul possesso palla (stabile oltre il 61%) e su un dominio generale fatto di passaggi soprattutto corti o medi. Il suo Leicester è una squadra offensiva (secondo miglior attacco) – ma a cui alle volte manca un po’ di efficacia sotto porta –, che non sbanda dietro (seconda miglior difesa), e che sa pressare molto bene quando non è in possesso.

Viene quasi automatico il paragone con il suo ‘mentore’ Pep Guardiola – si può dire che il Leicester è un po’ il Manchester City della Championship, no? –, e che non a caso lo aveva scelto come collaboratore proprio per via della filosofia condivisa, ma in effetti sul campo le somiglianze sono abbastanza evidenti: dalla mentalità, al ricorso a meccanismi quali il “doppio 8” o i “falsi terzini”, all’esasperazione del lato tattico (inteso come organizzazione della squadra e preparazione della partita). E, proprio come accade con il City, spesso si trovano a fronteggiare squadre che in fase difensiva abbassano il proprio baricentro per aspettarli, cercando di farli uscire per poi colpire in transizione.

Un circolo vizioso – fatto di sovraccarichi sul lato della palla, movimenti e tagli per muovere la difesa avversaria, passaggi all’indietro per ricominciare l’azione – che in realtà gli ha creato qualche problema personale nel rapporto con i tifosi, scontenti a volte del poco spettacolo offerto dalla squadra, che alle volte risulta noiosa.

In molti, inoltre, prendendo come base una promozione già acquisita, stanno già pensando a quanto durerebbe un manager come Maresca in Premier League, usando in parte come termine di paragone proprio il Burnley di Vincent Kompany (altro ex collaboratore di Pep), posto che comunque storicamente gli allenatori italiani lì hanno sempre fatto bene”.

In virtù della stagione che sta vivendo con il Leicester e, di conseguenza, della sua struttura complessiva da allenatore che l’analisi quotidiana può restituire, cosa non ha realmente funzionato a Parma?

“Parafrasando un vecchio modo di dire, non sapremo mai se Maresca fosse l’uomo giusto per il Parma, ma quasi sicuramente era sbagliato il momento. Innanzitutto quella è stata la sua prima “vera” esperienza da capo allenatore – dopo tre stagioni da vice (Ascoli, Siviglia, West Ham) e una in un’Under23 (Man City) –, all’interno di una carriera manageriale di fatto agli inizi, e poi è arrivata in una squadra che era appena retrocessa dalla Serie A, rivoluzionando la rosa.

La sua avventura con i ducali è durata soltanto tredici partite di campionato, in cui per altro non stava neanche andando così male, dato che aveva raccolto 17 punti; considerato che l’obiettivo societario non era la promozione immediata, e che gli era stato fatto firmare un contratto pluriennale, sembrava abbastanza ovvio che alla base ci fosse un progetto a medio-lungo termine, in un certo senso confermato dal campo – dato che al momento dell’esonero la squadra era in crescita, con sette punti nelle ultime quattro, e a meno tre dall’ottavo posto – ed è quindi difficile porre le basi per un vero discorso sul cosa non abbia funzionato, dato che in sostanza non gli è stata data la possibilità vera di dimostrare il proprio valore.

In aggiunta, non si può neanche dire che il suo successore – Beppe Iachini – abbia trasformato la squadra in positivo, dato che il Parma ha finito con un ‘anonimo’ 12esimo posto”.

La commercializzazione dei diritti tv della English Football League (per i nostri lettori: la lega che rappresenta Championship, League One e League Two) è davvero ragguardevole in termini di incassi, e a tal proposito gli ultimi aggiornamenti aiutano – con inevitabile sbalordimento alla sola descrizione delle cifre – a spiegare cosa sia il prodotto EFL: a partire dal 2028 – come scritto dal Daily Mail – comincerà la vendita accorpata dei diritti tv esteri della Premier League e della English Football League (ma quest’ultima riceverà già nell’annata in corso il 14,75%, oltre ad aver già accolto un bonus da 88 milioni di sterline), mentre per i diritti domestici è stato siglato – per la sola EFL – un accordo da 935 milioni di sterline con Sky Sports dalla durata di cinque anni. Importi fuori da qualsiasi logica in termini di comparazione con le altre seconde divisioni. È quello economico – oggi – il più grande vantaggio della Championship?

“Diamo la risposta più facile: . È inutile nascondersi dietro un dito, dato che avere un’alta potenza di fuoco in termini economici garantisce quantomeno più libertà e possibilità di agire. Ovviamente bisogna comunque proporzionare le cose, in quanto – banalmente – i soldi bisogna anche saperli spendere (e non è un caso che spesso gli inglesi vengano accusati di sperperare cifre troppo alte sul mercato con poco senno), e non è detto che siano tutto (vedasi per ultimo l’esempio del piccolo Luton Town). Inoltre, non va dimenticato che, se da un lato ci sono introiti straordinari come la finale play-off o il paracadute, l’altra faccia della medaglia non consente sempre di spendere e spandere: la Premier League ha in questo senso un regolamento molto stringente – si chiama P.S.R. – che consente un limite massimo sulle perdite a bilancio, e chi vuole fare il salto di categoria ne deve tenere conto (ne sa qualcosa proprio il Leicester).

Ma, al di là del versante economico, la Championship ha sicuramente in sé un altro fattore che la distingue dagli altri campionati, ovvero quello culturale e della tradizione. Il vantaggio è quello di accogliere squadre dalla lunga storia (d’altronde il calcio l’hanno inventato loro) e accompagnate da un indiscutibile fascino, che si riscontra per esempio anche nel fatto che, per il 2023/24, tutte le società a eccezione del Plymouth hanno almeno in bacheca un titolo o hanno raggiunto una finale di Coppa. E poi ci sono gli stadi: in Championship nessuna squadra scende sotto le 10.000 presenze settimanali in tribuna, mentre in Serie B ne arrivano a malapena tre”.

In termini tecnico-tattici che campionato è, oggi, la Championship? Seguendo questo filone, come analizzeresti un paragone con la Serie B?

“La Championship si sta innanzitutto confermando sempre più una eccezionale palestra per giocatori e allenatori. L’alto livello di competitività e di preparazione ti spinge a mantenere sempre degli standard elevati, dato che ogni distrazione può potenzialmente costare diverse posizioni in classifica, e questo è estremamente formativo: saper gestire i ritmi, atletici e mentali, e le pressioni di un campionato del genere ti verranno sicuramente utili poi al piano di sopra; non a caso, molti giocatori e molti allenatori hanno avuto la loro occasione in Premier League proprio dopo essersi messi in mostra al piano di sotto. La Serie B è altrettanto competitiva – tutt’oggi, a inizio aprile, ci sono praticamente due vittorie di distacco tra zona play-off e zona play-out –, ma lo è forse su una scala più ‘interna’: l’impressione è che chiunque possa vincere con chiunque, ma in uno scontro diretto quante squadre di B vincerebbero contro le squadre di Championship?

Di fatto, in Championship stanno in un certo senso seguendo l’esempio della Premier League, e gli indicatori statistici parlano in generale di squadre più attente per esempio al possesso palla e a una certa tipologia di passaggi, con anche una buona varietà a livello di schieramenti tattici (difese a tre o a quattro, tridenti offensivi o prime punte o falsi nove, o i già citati falsi terzini). Non a caso, ogni anno ci sono squadre che si distinguono su scala europea per organizzazione e struttura (lo Sheffield Utd di Chris Wilder, gli Wolves di Espirito Santo, il Leeds di Bielsa, il Burnley di Kompany, ecc), e chi sale in Premier sa che comunque ha delle buone chances di potersela giocare per non retrocedere subito (a parte il Norwich, ovviamente). Lo stesso non si può dire della Serie B: chi sale in A ha molte difficoltà a restarci, e anzi una volta che ritornano in B capita con troppa frequenza che finiscano addirittura in C (Spal, Benevento, Crotone, Carpi, forse Spezia).

Detto questo, il secondo livello inglese si caratterizza per una grande presenza di stranieri, sia in campo sia in panchina (nella sola stagione corrente sono rappresentate 12 nazionalità diverse tra i manager), con una conseguente ibridizzazione di quello che era il modello stereotipato del calcio inglese verso un’idea di gioco più attuale e moderna. Da citare poi nel discorso allenatori l’elemento anagrafico: tra quelli attivi attualmente, ben 16 hanno meno di 45 anni (tra cui 8 al di sotto dei 40), e tra gli esonerati ne troviamo altri 10; sopra i 60 anni sono invece soltanto 5. Questo dimostra in parte una predisposizione anche al rischio, quasi a cercare il fattore sorpresa; d’altro canto, bisogna però anche parlare dell’elevato numero di esoneri, testimonianza del fatto che forse mancano un po’ di pazienza o di programmazione. Anche in B gli esoneri sono tantissimi, e per quanto venga data l’occasione anche a giovani o a esordienti, l’età anagrafica è più alta e spesso si finisce nei momenti di difficoltà a puntare più sull’usato sicuro“.