🗣️ Modena, il Pres. Rivetti: “Non abbiamo fatto ancora niente. Puntiamo ad avere tante soddisfazioni in futuro”
Le sue parole
Il Presidente del Modena, Carlo Rivetti, ha rilasciato un’intervista per Il Resto del Carlino. Di seguito le sue parole riportate da parlandodisport.it:
Rivetti, cosa rappresenta per lei Modena?
“La parte più lunga della mia vita. Sono arrivato nel 1982, scegliendo di vivere in città per stare vicino alla C.P. Company, a Ravarino, per viverla quotidianamente. Affittammo una casa in Via Giardini. Tutto iniziò da lì”.
Come fu il passaggio da una metropoli a Modena?
“Io venivo da Torino, città poco affettuosa: di Modena ho apprezzato subito l’ospitalità. Ne sono rimasto poi impressionato da imprenditore: a Torino nelle aziende vige un codice militare, questa invece è terra di cooperative; significa lavorare insieme. I ragazzi che hanno lavorato con me hanno sempre ragionato come se l’azienda fosse loro: ogni volta che c’era un problema, mi presentavano soluzioni. E tutte le sere, quando uscivano dall’ufficio, spegnevano la luce, come si fa a casa. Non è un dettaglio”.
Sono passati oltre 40 anni. Come ha visto cambiare la città?
“Forse si è perso un po’ di spirito di appartenenza, ma le sue dimensioni umane favoriscono i rapporti interpersonali. Amo molto girare per la città, andare al mercato Albinelli, attraversare piazza Grande: ebbene, 40 anni fa non vedevi tutti i turisti odierni. Grazie a tutte le realtà d’eccellenza che ci sono, Modena per me è un patrimonio dell’umanità”.
Di questo patrimonio dell’umanità lei guida il club di cui si parla ogni giorno su stampa, social, nei bar. Come lo vive?
“In modo confortevole. Non è troppo diverso dalla nostra realtà aziendale. Stone Island era ed è un marchio molto vicino ai consumatori; io stesso, essendo molto popolare, avevo già sperimentato un approccio del genere: i miei consumatori erano tifosi. Ero allenato”.
I tifosi del calcio, però, se le cose non funzionano, contestano
“Anche quelli di Stone Island, mi creda: quando non condividevano una giacca, una linea, mi massacravano. Ma rimaneva un amore profondo. Allo stesso modo, la contestazione della scorsa stagione non ha toccato la società: vuol dire che la stima dei tifosi è immutata. Ma nel calcio contano i risultati”.
Il tifo la adora. Il suo ’ciao Modena’ alla presentazione in Sant’Agostino è stato qualcosa da tour di Springsteen, più che da calcio.
“C’era l’occasione, è stato naturale e bellissimo. E ora tutti i tifosi si aspettano sempre di sentire dalla mia voce roca il grido ’Dai gialli’”.
Un presidente rock
“Qualche giorno fa guardavo mio figlio Matteo in tv: razionale, lucido; forse sarebbe un presidente più degno di me. Io faccio quasi più fatica a essere manager che tifoso”.
Che rapporto ha con i media?
“Non mi piacciono i social, considero la stampa la regina dell’informazione: può interpretare, ma lì non ci sono leoni da tastiera, il rapporto è trasparente. È un mezzo per parlare alla gente. La professionalità dei giornalisti che ho l’opportunità di incontrare qui è consolidata, seria e radicata nel tempo e nel territorio”.
Un rapido bilancio di campo di questi primi 4 anni?
“Il primo abbiamo avuto un colpo di fortuna con la promozione. Il gol del portiere Gagno l’hanno visto in tutto il mondo, lì ho capito che le cose stavano girando bene. Però per il resto non abbiamo ancora fatto niente. Soddisfazioni di campo poche, ma puntiamo a ottenerne tantissime in futuro”.
La sua presidenza si caratterizza per l’attenzione all’identità del club. Curioso che non ci abbia pensato un modenese di nascita, non crede?
“La mia formazione come imprenditore ha inciso. Abbiamo reintrodotto il canarino, cambiato il lettering, posto grande attenzione alle maglie. E lo store piace molto. I tifosi vanno trattati bene: se non ci fossero, non ci sarebbe il gioco del calcio”.
Il suo Modena ha molto migliorato la sua immagine proiettata
“Noto che si apprezzano aspetti non legati al campo, come ridipingere la tribuna con i colori sociali, rifare il tunnel e gli spogliatoi che erano impresentabili: le telecamere delle televisioni passano da lì, sono tutti biglietti da visita della città. Continueremo su questa strada”.
Intanto il club cresce. Come si trasforma un contenitore vuoto a una società strutturata?
“Lavorando laddove c’erano carenze: il centro sportivo, il convitto, lo store in via Taglio che ci permette un rapporto diretto con i tifosi. Una società di calcio ha molti valori intangibili, ma deve averne anche di tangibili”.
Nel calcio dei fondi e delle proprietà straniere, possiamo aspettarci continuità dai Rivetti a Modena?
“Sì, i miei figli sono altrettanto interessati. Come in azienda abbiamo lavorato tutti insieme, oggi tutta la famiglia è impegnata nel Modena. Siamo tutti patiti per il calcio, nipoti compresi, tifiamo club diversi: ora abbiamo una squadra che ci unisce. Il Modena è di tutti noi. L’impresa italiana e il calcio, negli ultimi anni, hanno avuto problemi di ricambio generazionale. Qui il ricambio è assicurato”.