30 Novembre 2020

Pescara, cosa non ha funzionato nell’Oddo-bis

ODDO PESCARA – È terminata la seconda esperienza di Massimo Oddo sulla panchina del Pescara. Una vittoria, un pareggio e sette sconfitte in nove turni di campionato: bilancio eccessivamente in rosso per sperare che il matrimonio tra le parti potesse trovare nuovi stimoli. Cosa non ha funzionato? Come in ogni infausto epilogo, le argomentazioni sono […]

ODDO PESCARA – È terminata la seconda esperienza di Massimo Oddo sulla panchina del Pescara. Una vittoria, un pareggio e sette sconfitte in nove turni di campionato: bilancio eccessivamente in rosso per sperare che il matrimonio tra le parti potesse trovare nuovi stimoli. Cosa non ha funzionato? Come in ogni infausto epilogo, le argomentazioni sono plurime.

Premessa: il Pescara ha ben altre potenzialità rispetto a quanto espresso. Non è assolutamente una squadra da quattro punti in nove partite, ergo le radici di tale inizio di stagione non sono da ricercare nella penuria di talento. Le difficoltà emerse hanno natura tattica, attitudinale e, come in ogni storia caratterizzata grigiore, sono state amplificate dalle indisponibilità. Partiamo da quest’ultimo punto, con la convinta intenzione di non incentivare un processo di ricerca di alibi: le assenze sono state diverse e reiterate. Oddo non ha mai lavorato con il gruppo al completo, questo non può che aver inficiato il suo percorso.

Detto ciò, il Pescara visto dalla prima giornata contro il Chievo ha dato, inizialmente, sensazioni contrastanti: la volontà era quella di mantenere il dominio del pallone, cercando di occupare gli spazi attraverso smarcamenti, conduzioni e imbucate. Le caratteristiche di calciatori come Maistro, Vokic, Memushaj e Fernandes, per fare qualche nome, sembravano sposare a pieno questi input, in particolar modo per ciò che concerne i comportamenti emergenti propri di calciatori così talentuosi in un sistema che, sulla carta, avrebbe dovuto favorire i suddetti processi.

Non è andata così. Il Pescara, giornata dopo giornata, ha perso lucidità e fiducia, ed è questa la causa principale che ha portato al disfacimento di qualsiasi proposito. Il possesso palla appena citato, che doveva essere foriero di opportunità creative per la squadra, è diventato sterile e non propositivo (il Delfino, su nove incontri disputati in campionato, ha avuto in ben 6 occasioni percentuali migliori di controllo del pallone rispetto agli avversari: non è accaduto nella trasferta di Lecce, dove il dato ha fatto registrare un 50% ciascuno, e nelle partite contro Cittadella e SPAL). I movimenti senza palla sono costantemente e inesorabilmente diminuiti, così da impedire allo sviluppo della manovra di avere coinvolgimento, estetica ed efficacia. Passaggi e movimento senza palla, nel calcio contemporaneo, devono essere contestuali, la passività rischia di diventare un killer per il collettivo, ed è proprio quanto accaduto ai biancazzurri. Il primo Pescara in cadetteria di Oddo, sotto questo punto di vista, era sicuramente apprezzabile: continua elasticità e interscambiabilità garantivano imprevedibilità ed efficacia.

Questi elementi, nell’Oddo-bis, sono mancati: squadra pigra, spesso nervosa, poco lucida. Con simili dinamiche è diventato poco a poco inimmaginabile la tessitura di relazioni sia inconsce che stabilite: in alcuni frangenti, la confusione era talmente elevata che mancava la consapevolezza di quale potesse essere la giocata del compagno. Il Pescara è mancato sia nell’implementazione del proprio sistema di gioco che nella lettura situazionale, al giorno d’oggi ovviamente inevitabile dati i continui stravolgimenti cui è sottoposto un evento complesso e dinamico come la partita. Carenze che hanno sgretolato le geometrie relazionali che, nei principi di gioco di Oddo, sono fondamentali.

La lacunosità di coralità ha riguardato anche altre fattispecie, come la costante difficoltà di conquistare le seconde palle: spesso la distanza tra la linea di difesa e quella di centrocampo era tale da limitare il ventaglio di possibilità degli uomini di Oddo a una mera azione di disturbo. Ancora una volta, nette le differenze con il Pescara 2015-2016, dove le situazioni di difesa organizzata mostravano un corretto scaglionamento, scivolamenti preparati e la ricerca del contro-pressing in determinate circostanze. Principi di tattica collettiva mancati anche in relazione alle difficoltà attitudinali precedentemente descritte. 

In termini di individualità, Maistro è stato sicuramente il più efficace per fantasia, rifinitura e concretizzazione, mentre Masciangelo ha confermato le ottime sensazioni della passata stagione. Ceter sarà probabilmente il più grande rimpianto di Oddo, dato che la struttura tecnica e atletica del centravanti avrebbe garantito non pochi miglioramenti per la squadra. Fernandes dovrà crescere in termini di personalità, dato che le qualità non mancano, mentre Riccardi è purtroppo da considerare non pervenuto: la sua completezza avrebbe potuto essere un’arma in più. Galano non ha brillato e, in ottica futura, dovrà ritrovare la propria fantasia.

Il percorso di Massimo Oddo da allenatore sta trovando non poche difficoltà. Ciò nonostante, le idee del tecnico hanno dimostrato di poter essere efficaci (come accaduto nella stagione della promozione proprio a Pescara e, in parte, in quel di Perugia), motivo per il quale una delle sorgenti di tali ostacoli potrebbe essere (pura ipotesi, doveroso sottolineare ciò) una gestione comunicativa e relazionale con il gruppo da migliorare. Le squadre del tecnico pescarese perdono troppo facilmente fiducia e motivazione, ingredienti senza i quali il fare calcio rasenta l’impossibilità. Chiusura legittima: le critiche, come quelle esplicate in quest’articolo, sono legittime, mentre deplorevoli sono le invettive nei confronti dell’uomo. Come in ogni ambito della vita, guai a confondere la richiesta di confronto con l’offesa.

Pescara ha accolto Breda, mentre Oddo è chiamato a ricominciare. Con positività, stimoli, passione e propensione al continuo aggiornamento, una nuova porta sarà sempre pronta ad aprirsi. 

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