3 Marzo 2018

ESCLUSIVA PSB – La rivalsa di De Vezze: “Ho sempre camminato a testa alta, moralmente ho vinto io”

Dopo un lunghissimo periodo vissuto con la spada di Damocle della condanna in primo grado per calcio scommesse, dopo una carriera professionistica interrottasi a causa della squalifica di 3 anni e 6 mesi comminata dalla Commissione Disciplinare  Nazionale della FIGC, dopo tutto il fango gettatogli addosso dal mondo del pallone, Daniele De Vezze è stato […]

Dopo un lunghissimo periodo vissuto con la spada di Damocle della condanna in primo grado per calcio scommesse, dopo una carriera professionistica interrottasi a causa della squalifica di 3 anni e 6 mesi comminata dalla Commissione Disciplinare  Nazionale della FIGC, dopo tutto il fango gettatogli addosso dal mondo del pallone, Daniele De Vezze è stato pienamente assolto dalla Corte D’Appello di Bari dall’accusa di frode sportiva in merito alla partita di Serie B SalernitanaBari del 23 maggio 2009 “per non aver commesso il fatto”. Cadono dunque nel nulla le accuse del reo confesso difensore dell’Atalanta Andrea Masiello. La Redazione di PianetaSerieB.it ha contattato in esclusiva l’ex centrocampista dei pugliesi, permettendogli di raccontare e commentare una vicenda surreale, che ha rischiato di mettere per sempre a repentaglio la sua cifra morale. Ciò che invece emerge dalle sue parole è un’umanità sconfinata, sorretta da una dignità che gli ha permesso di non vacillare mai, nonostante l’enorme dolore.

“L’altroieri, 1 marzo 2018, è stata una data che non dimenticherò mai: al processo d’appello, fortunatamente, sono stato pienamente assolto per non aver commesso il fatto. Quando l’avvocato mi ha chiamato per comunicare la sentenza ho pianto di felicità e di rabbia. Mi considero riabilitato al 100% come uomo, come padre, come personaggio pubblico, come cittadino e come sportivo. Tutto ciò che è stato detto e fatto nei miei confronti è stato cancellato dalla sentenza del procuratore della Repubblica di Bari, autorità a cui tutti noi italiani facciamo riferimento. Il processo sportivo, purtroppo, resterà ingiustamente una macchia indelebile che porterò sempre con me, ma, nonostante ciò, ieri ho conseguito una vittoria. Sono stato immotivatamente tirato in ballo e condannato e nessuno potrà in alcun modo restituirmi quello di cui sono stato privato o comprendere cosa ho vissuto in questi ultimi quattro anni e mezzo lontano dal calcio professionistico, che era ed è tuttora la mia vita. Quando sono stato dichiarato colpevole vivevo a Bari e per me è stato un doppio incubo. Da allora, però, non ho mai pensato di andarmene, ho sempre camminato a testa alta nella città in cui avevamo scritto la storia, perché consapevole della mia totale innocenza e fiero del percorso fatto. Qui ho sempre girato per le strade, mandato a scuola i miei bambini e  gestito una scuola calcio, pur correndo il rischio di essere pesantemente criticato e offeso. Gli insulti peggiori, tuttavia, mi sono giunti da gente che si nasconde dietro una tastiera: “Cosa insegnerai ai tuoi bambini e ai tuoi allievi? Come si vendono le partite?” In certi casi, purtroppo, ci sono alcune persone che ti fanno del male gratuito senza conoscere tante dinamiche: è la vita. Adesso, però, anche se dopo troppo tempo, ho avuto giustizia e voglio godermela pienamente, è la più grossa soddisfazione che potesse giungere in questo momento. Ho trentott’anni e mezzo e due bambini, non porto rancore verso chi mi ha trascinato in quest’inferno facendo il mio nome, perché credo che certe cose sia necessario viverle prima di poter giudicare. So bene che tante dichiarazioni vengono manipolate dagli avvocati, interessati a costruire una linea di difesa e non di certo a far emergere la verità. Tutto ruota attorno agli sconti di pena e la dimostrazione è che chi è pentito ora è in campo. Però ti dico la mia: sono favorevole ad offrire a chi sbaglia una seconda chance, ma non è possibile che ciò si verifichi a discapito degli altri. Purtroppo è il funzionamento stesso del sistema ad imporre a chi commette reati di pararsi il culo così. Me la prendo molto di più, invece,  con chi ha giudicato in maniera errata tutta la vicenda. Dopo la sentenza è sotto gli occhi di tutti che qualcosa non funziona nel passaggio tra processo sportivo e processo penale: chiunque sia in grado di intendere e di volere si accorge che se si viene prosciolti da ogni accusa da un giudice e condannati dall’altro qualcosa non quadra. Penso che in seno agli organi della Giustizia Sportiva regni la fretta e manchi la possibilità di difendersi, perché ci si trova a poter contrastare con la propria parola quella di chi accusa e nient’altro. Se si analizzano i dati, le pene proposte sono poi sempre state drasticamente ridotte anche dal TAR. Gli unici colpevoli attestati sono i rei confessi, tutti coloro che hanno coinvolto sono invece stati prosciolti, ma hanno pagato lo stesso. Nel corso di un processo penale c’è, invece, la possibilità di dimostrare la propria innocenza, di interrogare i teste e fare domande, quindi il Giudice è messo nella condizione di valutare a 360 gradi. Se mi hanno assolto è perché si è potuta dimostrare l’inesistenza dei fatti. A me, lo ribadisco, quello che fa più rabbia  è che ciò non avvenga in Commissione Disciplinare. Spesso ho incontrato persone che mi hanno chiesto il motivo per cui non ho patteggiato ed io ho sempre risposto che, essendo innocente, non sarei stato capace di farlo:  sono stato bastonato duramente per la scelta, ma alla fine moralmente ho vinto. Sarebbe bello che chi di dovere mi permettesse di rientrare nel mondo professionistico, anche se non mi aspetto nulla, perché  garantisco che da subito mi sono state chiuse tutte le porte. Mi piacerebbe ricominciare a fare quello che amo molto più che ricevere delle scuse, perché per me questo sport significa tutto. Ora voglio soltanto mettere un punto su una storia lunghissima e bruttissima, che è stata dimostrata del tutto estranea a Daniele De Vezze. Non c’è sensazione migliore della certezza che nessuno potrà più dire ai ragazzi che cresco e a quelli che alleno falsità sul mio conto.”

 

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